Hanno collaborato a questo sito:
B:K Officina editoriale

Realizzazione sito e testi

Bianca Puleo

Fotografie

Mail

Diederik Pierani

Illustrazioni

InstagramPortfolioMail

foto di una mano che regge mela

Terra sana, alimenti sani, individui sani: le ricerche sul rapporto tra sviluppo neurologico nell’infanzia e alimentazione

Photo by Priscilla Du Preez on Unsplash

Si dice spesso che il biologico rappresenti un’investimento a medio e lungo termine per la salute delle acque e dell’ambiente e questo è senz’altro un obiettivo primario e incontestabile. Ridurre la presenza di pesticidi agricoli (l’obiettivo della strategia europea Farm to Fork è tassativo su questo: vanno dimezzati antro il 2030) è una scelta politica della massima priorità all’interno di un quadro che chiede di riconsiderare tutte le scelte produttive in funzione della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente.

Tuttavia – anche se questo non viene mai abbastanza sottolineato – si tende a non considerare quanto l’utilizzo di prodotti chimici in agricoltura risulti nocivo per il consumatore: una mela al giorno – se non è una mela bio – non leva il medico di torno. Anzi.
In genere, per la difficoltà di effettuare ricerche sugli effetti sedimentati nel tempo della dieta, gli allarmi vengono lanciati solo quando si evidenzia un rischio acuto, in seguito a evidenze dirette: quando cioè un dato prodotto risulta responsabile diretto di una patologia, facendo scattare il richiamo degli alimenti che lo contengono. Esistono però rapporti  meno diretti, dalle conseguenze meno eclatanti, e tuttavia più perniciose e subdole.

In questo senso l’articolo pubblicato su Ilfattoalimentare.it da Roberto Pinton rappresenta un’interessante, quanto preoccupante, punto di partenza per verificare – attraverso i molti studi citati – la correlazione tra una dieta basata su prodotti biologici e lo sviluppo neurologico infantile. Una correlazione che dimostra, senza dubbi, quanto nelle fasi delicatissime e centrali dello sviluppo la presenza di inquinanti all’interno della dieta vada a detrimento delle performance cognitive: capacità complessive, concentrazione, memoria.  Si tratta di dati estremamente chiari che, come dice l’autore “evidenziano l’esigenza di una nuova visione della sicurezza alimentare, che non si curi solo dei rischi acuti (quelli che danno il via agli allerta e ai richiami dei prodotti), ma anche di quelli a lungo termine o cronici, per i quali non sono assolutamente previsti né allerta né richiami”.