25 Set Cosa c’è dietro la polemica sull’agricoltura biodinamica?
Non si esaurisce la polemica intorno all’agricoltura biodinamica, dopo le recenti prese di posizione della senatrice Cattaneo – l’unica ad aver votato in Senato contro l’approvazione del disegno di legge 988 sul biologico, passato all’unanimità e in attesa di essere approvata in via definitiva alla Camera – e la raccolta di firme promossa da Roberto Defez, esperto di biotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche, che mira a modificare il DDL . Secondo i firmatari con questo decreto legge “l’Italia diverrebbe il primo stato al mondo a dare dignità di legge a pratiche esoteriche”.
A fare il punto sulla questione, con chiarezza ed equilibrio, è l’articolo da poco pubblicato su Internazionale scritto da Stefano Liberti, che ha il grande pregio di inquadrare la questione in un’ottica più ampia, offrendo una visuale articolata delle motivazioni dello scontro.
Risulta infatti poco credibile l’accanimento di alcuni scienziati (non sono affatto tutti, infatti, come sottolinea il testo di Liberti) contro l’agricoltura biodinamica, considerato che la parola biodinamica nel testo di legge appare solo quattro volte. Al di là del fatto che, come sottolinea Maurizio Gily, docente di scienze gastronomiche, si tratta di una battaglia persa, il vero obiettivo sembra la volontà di bloccare la legge sul biologico. ““I critici usano il pretesto della biodinamica per bloccare la legge sul biologico. Non capiscono tuttavia che la loro è una battaglia di retroguardia: se l’Unione europea ha indicato nella strategia “Farm to fork” che il 25 per cento dei terreni dovranno essere coltivati in regime biologico entro il 2030, gli stati membri non potranno che adeguarsi”.
Questa battaglia di parte della scienza – arroccata su posizioni più che altro scientiste e poco interessata alla verifica dell’intero delle pratiche del biodinamico – non tiene in considerazione una molteplicità di aspetti, che il testo pubblicato su Internazionale elenca bene: dalla marginalità delle aziende che praticano questo tipo di agricoltura (in Italia è interessato solo lo 0.11% della superficie coltivata), al fatto che il fatturato medio per ettaro di queste aziende è di circa 4 volte superiore a chi opera con agricoltura convenzionale, sino al fatto – questo sì assolutamente non marginale – che le aziende biodinamiche non inquinano e sono pienamente sostenibili. Come dice ancora Gily: “Se poi i produttori ululano alla luna prima di imbottigliare il vino o usano preparati strani, a me poco importa. Magari queste pratiche non servono a molto, ma sicuramente fanno meno danni di molteplici trattamenti chimici nel terreno”.
Viene anche sventolata la questione dei finanziamenti pubblici al settore: ma si tratta di una vera “fake news”, di una manipolazione ad arte. Le aziende biodinamiche potrebbero ricevere sostegni non in quanto biodinamiche (non c’è per altro nessuna certificazione al riguardo) ma in quanto anche biologiche, come l’Europa giustamente chiede.
Resta la sgradevole sensazione di una grande miopia, oltre che il sospetto che determinate posizioni siano volte ad affossare il biologico per meri interessi: la noncuranza con cui si guarda agli effetti a lungo termine dell’agricoltura convenzionale e dello sfruttamento intensivo dei terreni, messa a confronto con le pratiche mirate alla biodiversità e attente alla rigenerazione del terreno, fa apparire anche il pensiero “sciamanico” dei biodinamici più ricco di visione sul futuro. Sicuramente meno impattante.